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Progetto a cura di Stefano Jacoviello
2024 –
Accanto
Non c’è senso senza differenza. E le differenze prendono valore, cominciano a significare, solo quando due cose sono accanto, per contrastare o riflettersi l’una nell’altra. Solo accanto all’altro si trova ragione della propria identità, che non basta a se stessa. Negli occhi dell’altro è possibile scoprirsi e seguire la continua trasformazione fra ciò che si è stato e ciò che si sarà. Non ci sono desideri e obiettivi che non misurino la distanza da ciò che non ci è accanto. Non c’è parola che possa continuare a indagare il senso del mondo senza un’altra lingua accanto che la traduca, per esprimere ciò che non riesce ancora a dire.
A volte il disincanto di uno sguardo da lontano fa sfumare differenze pretestuose, come quelle che emergono ai due lati della linea stabilita ma mai esistita di un confine politico. Altre volte le differenze vengono deliberatamente neutralizzate per annullare chi le reclama, insieme alle sue motivazioni.
Ma se non ci fosse differenza, se fosse da sempre tutto uguale, allora vivere non avrebbe senso e il tempo che passa non potrebbe essere catturato in un racconto, per essere ricordato. Anche la memoria nasce al di là di un confine, quando ci si imbatte nel proprio riflesso nel racconto di se stessi, e ci si trova cambiati, come davanti agli occhi di un altro. Come davanti a uno specchio, che trasforma il nostro corpo in immagine, trovandogli un posto fra le immagini del mondo che ci gira intorno, una accanto all’altra, per scoprire il senso della nostra presenza in ciò che ci distingue.
Anche la musica mette suoni diversi uno accanto all’altro, segnando così il passare del tempo e dandogli un senso che lo distingue dal monotono ripetersi degli istanti quotidiani.
Gli appuntamenti di “Tradire – Le radici nella musica” 2024 mettono musiche una accanto all’altra. Raccolgono canti che si accostano ai confini, oppure li attraversano per farci sentire la presenza di chi è sempre stato lì accanto, anche se l’abbiamo dimenticato. Musiche che scavalcano le cime delle Alpi o riecheggiano dalle distese d’acqua che ci separano dall’Africa, su cui si affacciano attese infinite. Musiche per sentirsi accanto a chi non c’è, a chi è lontano. O che chiamano accanto persone con la stessa storia, in cerca di un destino comune. Musiche che riportano a casa il ricordo degli altri cui siamo stati accanto, laggiù, danzando insieme le nostre nostalgie sui loro passi.
Musiche fiorite sul confine per ricordare che non possiamo affondare le radici in un terreno che non sia condiviso con qualcun altro, vanificando ogni scontro fra “noi e loro”. Musiche contraffatte da ascoltare accanto all’originale: suoni nuovi che intonano le stesse parole antiche per ricolorarne il senso e sorprenderci lì in ascolto, fermi, lungo il passare dei secoli, a confrontarci con il mutare delle nostre emozioni.
Tutte queste musiche servono a farci capire che siamo l’incrocio di mille percorsi, tradizioni che si traducono una nell’altra e tradiscono ogni volta le sembianze di un passato in cui è dolce rifugiarsi, per raccontare invece chi siamo, oggi per domani.
Tradire, tradurre, tradizioni hanno la stessa radice che contiene il significato del contatto, dello scambio, del passaggio, della condivisione di un valore fra individui per riconoscersi a vicenda, e dar senso ad una vita che vale la pena di essere vissuta solo standosi accanto.
Tutti gli appuntamenti sono a PALAZZO CHIGI SARACINI, VIA DI CITTÀ 89, SIENA
ASCOLTO LIBERO – INGRESSO GRATUITO
Prenotazioni: biglietteria@chigiana.org
tel. 0577 220922
DALLE 20.30 DEGUSTAZIONE DI VINI LEGATI ALLE MUSICHE SUONATE A CURA DI 
Duemila ettari di proprietà privata nel cuore dell’Italia. Un ecosistema intatto, incorniciato da una foresta ancora inviolata e caratterizzata da una ricca biodiversità. La passione per la terra, l’amore per le tradizioni unite al rispetto per un terroir unico, rappresentano l’identità contemporanea di una produzione vitivinicola che si sviluppa sulla grande eredità di un territorio naturalmente vocato all’eccellenza.
Il progetto nasce dall’interessamento di vignerons dalla fama internazionale come Stèphane Derenoncourt e Andrea Paoletti che hanno trovato in questo angolo di Toscana il luogo ideale dove sviluppare, grazie alla sinergia tra l’expertise italiana e francese, una nuova filosofia produttiva dedicata al Chianti, nel tentativo più che riuscito di produrre vini dal gusto contemporaneo, in un terroir ed un microclima unici.
Accanto alle musiche di ciascun appuntamento Mansalto abbina il carattere di uno dei suoi vini per scoprire i riflessi dell’ascolto nel sapore, nell’odore e nel colore che affondano le radici nello stesso terreno del sentire.

APPUNTAMENTI

8 FEBBRAIO Ore 21.00
DE BALLO GALLICO
Guido Antoniotti cornamuse, fiati, scacciapensieri, percussioni, voce 
Sandro Fusetto violino, voce
Gabriele Gunella ghironda, voce
Massimo Losito fisarmonica, voce

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Le Alpi occidentali si ergono davanti alle valli del Piemonte come muraglioni insormontabili, giganti silenziosi che vegliano su un orizzonte che si nasconde al di là delle loro cime. Eppure, fra quelle rocce oggigiorno sempre più secche si aprono sentieri e passaggi che fin dall’antichità sono stati attraversati dalle genti del luogo, portando con sé storie, canzoni e musiche da ballo insieme a prodotti di ogni tipo. Così si sono aperte delle vie per la Gallia, che non hanno a che fare con le guerre di Cesare ma con le campagne che al di là dai monti si distendono verso nord ovest, attraverso la Provenza e l’Occitania, l’Auvergne, fino alla Guascogna e alla Bretagna. Su queste vie hanno viaggiato memorie vicine e lontane, che si sono intrecciate nei racconti intorno al fuoco, nelle giornate di lavoro, negli incontri durante le feste di paese. Sono le memorie di canti e balli che ritornano nelle voci e negli strumenti di Guido Antoniotti, Sandro Fusetto, Gabriele Gunella, Massimo Losito, e che come ogni memoria vivono solo nel presente in cui tornano alle orecchie di chi li ascolta. Musiche che si traducono a vicenda, che risuonano sulle corde di strumenti della tradizione europea, ma anche attraverso le vibrazioni inattese di oggetti del quotidiano, liberati dal loro uso consueto e ripensati per il suono che fanno. Cosa che del resto si è sempre fatta nella pratica popolare della musica, tramutando il setaccio in un tamburo e il cucchiaio in nacchera per accompagnare violino e fisarmonica.
De Ballo Gallico è un itinerario attraverso due mondi e sonori che vivono uno accanto all’altro, ai due lati delle Alpi, da Vercelli a Versailles, e che si traducono a vicenda con dialetti musicali che rinascono ogni volta che qualcuno ne sente gli accenti e comincia a ballare.

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Le musiche che attraversano le valli al di qua e al di là delle Alpi occidentali sono abbinate a Mansalto IGT Toscana Rosso “Stroncoli” 2020, un taglio alla francese con dei vitigni internazionali.
15 FEBBRAIO Ore 21.00
ASIA IN MINORE

Haris Lambrakis ney
Fausto Sierakowski sax alto
Alexandros Rizopoulos bendir

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La Grecia affonda il suo corpo nel cuore del Mediterraneo come la punta di una trottolaportandosi dietro tutti i Balcani, da cui è sempre sembrata volersi distinguere in virtù di una differenza ancestrale legata all’età di Platone, Aristotele, Pericle, Prassitele. La ricerca di una continuità col passato classico era cominciata al tramonto del Settecento con gli umanisti inglesi, francesi, tedeschi, italiani, a cui si erano presto aggiunti i folcloristi greci unendo gli interessi locali e quelli degli stranieri per la legittimazione di una identità nazionale. Così la Grecia cominciava a svolgere il ruolo di confine fra oriente e occidente, fra Europa e Asia, cristianesimo e islam. Essere la supposta patria della democrazia ha aiutato la Grecia a trovare un supporto internazionale anche durante le sue più recenti crisi politiche e finanziarie.
Se la musica delle isole ioniche avrà mostrato un qualche carattere “occidentale” alle orecchie dei folcloristi ottocenteschi, sarà stato però ben più difficile per loro nascondere le affinità con i linguaggi musicali d’oriente di tutta la parte del paese affacciata sull’Egeo e verso le coste dell’Anatolia. Da lì più tardi, nel 1922, centinaia di migliaia di profughi erano arrivate portando con sé la stessa lingua degli ateniesi ma esperienze di vita diverse, cosmopolite come le città di Smirne e Istanbul da cui provenivano. Come bagaglio portavano anche una musica capace di esprimere l’intimità. Seppure raccontassero di vite al limite, dell’eterno veleno dell’esistenza e della sconfitta, le canzoni cantate nei cafés aman permettevano ai greci di città di dire ciò che la musica leggera europea dei café chantant non gli avrebbe concesso.
Con la nascente discografia, l’eredità “orientale” del rebetiko arrivò nelle campagne, unendosi alle tradizioni locali una volta occultate dai folkloristi e bollate dai nazionalisti come “turche”.Come i balli, la gastronomia, un certo modo di vivere, anche quelle musiche tradizionali già risuonavano al di là dei confini, attraverso territori albanesi, macedoni, bulgari, in un continuo gioco di prestiti e traduzioni. Suono dei bassifondi, poi divenuta emblema nazionale per i colonnelli, riscritta e reinterpretata dai grandi autori della resistenza negli anni 70, la musica tradizionale greca così “orientale” è stata frettolosamente dimenticata dalla prima generazione cresciuta nella comunità europea.
Tuttavia, mentre alla fine degli anni ’80 gran parte dei giovani greci affogava fra “gli scarti del pop occidentale e la spazzatura del pop levantino” (C. Papadopoulos), alcuni di loro vennero incuriositi dalle ristampe dei vecchi dischi. Ripresero fra le mani strumenti una volta familiari e ora divenuti esotici come i loro nomi: kanonaki, outi, santur e perfino il ney. Appresero i makam ottomani e cominciarono a collaborare con colleghi turchi. Riscoprirono in patria quelle tradizioni rurali che presentavano un ritratto della Grecia non più come confine occidentale dell’Europa, ma terra di passaggio, di confronto, simbiosi fra oriente e occidente, fra nord e sud.
Per questi artisti sparivano d’un tratto le dure contrapposizioni etniche fra greci, albanesi e slavi intorno al confine settentrionale che si estende come una linea dall’Adriatico al Mar Nero, e dagli strati più profondi della memoria dell’Epiro emergevano le sopravvivenze di quel luogo di incontri, nei suoni di una musica che è di chiunque provi a suonarla.
Haris Lambrakis è un maestro riconosciuto nel recupero dell’eredità musicale ottomana. Il suono incantato del suo ney appare nei dischi di artisti internazionali, dialoga con il jazz, si presta alle esperienze della musica contemporanea. Fausto Sierakowski porta in se stesso un mosaico di identità inanellate fra l’Europa e il Mediterraneo. Intrecciandosi sulle pelli dei tamburi di Alexandros Rizopoulos, le voci del ney e del sax contralto racconteranno le radici di un Epiro che è un po’ in oriente, un po’ in occidente; un po’ Europa, un po’ Asia in minore.

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L’incontro fra l’eredità ottomana e le tradizioni del sud dei Balcani è abbinato a Mansalto Pantheon, un vino dedicato al tempio di tutti gli dèi greci, con un taglio di Cabernet Sauvignon, Merlot e Sangiovese.
22 FEBBRAIO Ore 21.00
UNA NOTTE A TUNISI
Marzouk Mejri voce, ney, darbuka, bendir
Salvatore Morra oud orientale, oud tunisino

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«Il malûf è pane quotidiano. È un’abitudine, il nostro patrimonio e la nostra eredità» dice Ziad Gharsa, forse il più noto rappresentante di questa tradizione musicale tunisina. Data per quasi estinta all’inizio del Novecento dal barone franco-tedesco Rodolphe d’Erlanger, che per salvarla decise di trascrivere in notazione occidentale le sue sopravvivenze affinché potessero essere insegnate in una accademia, il malûf divenne presto un tassello fondamentale per la costruzione dell’identità nazionale tunisina propagandata prima dalle istituzioni coloniali e poi dal regime di Bourguiba e Ben Ali. Costruito come “musica classica maghrebina” concepita da una élite centrata sulla capitale ed eseguita in spettacoli pubblici per mostrare le tracce nostalgiche di una mitica eredità arabo-andalusa cui tentare di assomigliare, il malûf veniva offerto ai tunisini come il terreno in cui affondare le radici della propria identità rispetto al resto del Maghreb, contro la pervasiva industria culturale egiziana capace di costruire il volto di un mondo arabo omogeneo a sua immagine e somiglianza.
Tuttavia, nei club notturni lontani dalle accademie o nelle case private, incurante della sua presunta estinzione, fin dal crepuscolo dell’Impero Ottomano il malûf continuava ad essere lo strumento per condividere una memoria genuinamente popolare e inclusiva, attraverso un’esperienza collettiva o solitaria. Intorno
alle corde pizzicate del qanun e dell’oud ‘arbi, al soffio del ney e al ritmo di darbuka e naqqarah, ascoltando i versi intonati sui modi musicali tunisini si condensava il senso di appartenenza alla base di un’identità sentimentale. Libera e lontana tanto dal nazionalismo quanto dall’autorità dei maestri (shaykh), questa identità sentimentale fondata sulla condivisione di un’esperienza intima della musica ha condotto i tunisini oltre la primavera araba del 2011 e li ha accompagnati nella migrazione lontano da casa, offrendo loro un territorio immateriale, privato e sconfinato, dove rifugiarsi accanto ad un canto nostalgico e gioioso. Da Napoli, Torino, Parigi, Berlino, cantando il malûf si può scorgere il colore della notte a Tunisi.
Marzouk Mejri vive da trent’anni a Napoli, dove ha collaborato con Daniele Sepe, James Senese, Peppe Barra, NCCP, 99 Posse, Eduardo De Crescenzo, Enzo Avitabile e molti altri. Nel 2017 la RAI ha prodotto un docufilm sulla sua arte musicale, intitolato “Vita di Marzouk”. Salvatore Morra indaga da musicista e da etnomusicologo il mondo arabo islamico e le sue intersezioni con i mondi sonori contemporanei. Insieme formano il duo Maluf System.

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I ritmi delle melodie tunisine sono abbinati a Mansalto IGT TOSCANA BIANCO CHARDONNAY, un tocco di freschezza nella notte mediterranea. 
29 FEBBRAIO Ore 21.00
FATTI E CONTRAFATTI
UT – Insieme Vocale Consonante
Lorenzo Donati direttore

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La contraffazione musicale è un procedimento creativo in uso dalla notte dei tempi. Le prime testimonianze in occidente ci giungono dal medioevo insieme alle più antiche forme di notazione. Ma è sicuramente stato fatto sempre e ovunque, perché è un modo di giocare con la musica per svelarne il senso e con esso il potere di evocare con i suoni immagini e significati. Di solito si cambiano le parole di un canto per trasformarne il genere e le intenzioni, da sacro a profano o viceversa. Una musica può essere contraffatta per affermare con il suo nuovo carattere sonoro i principi di un manifesto artistico, l’appartenenza a una comunità, una rivendicazione politica. Ma un motivo musicale può essere contraffatto anche per il solo gusto della parodia, per provocazione o goliardia. Tutto ciò funziona se la nuova versione porta con sé la memoria di ciò che era prima.
Lorenzo Donati ha realizzato dei contraffatti di polifonie dal Cinque e Seicento. Ha conservato le parole per far esplodere il potenziale sonoro di quei brani verso gli orizzonti della contemporaneità, mostrando allo stesso tempo l’attualità e l’efficacia del loro linguaggio antico. Ogni contraffazione è una traduzione, che ci illumina sul senso della musica tradotta e sul modo in cui lo comprendiamo. UT – Insieme Vocale Consonante, composto in gran parte da direttori di coro provenienti da tutta Italia, è fra le più importanti formazioni vocali europee.
Ascoltando le loro voci, i contraffatti ci metteranno davanti all’eternità delle nostre emozioni, avendo l’impressione di restare fermi e incantati lungo il silenzioso passare dei secoli.

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Il confronto serrato fra antico e moderno trova un riflesso in Mansalto “La Commenda” Chianti docg, un’interpretazione in chiave contemporanea di un vino emblema della tradizione toscana.
7 MARZO Ore 21.00
ARGENTINI D’OLTREMARE
Javier Girotto sax soprano, flauto quena
Vince Abbracciante fisarmonica

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Italiani: popolo di santi, poeti e navigatori. Ma anche di emigranti, che hanno portato con sé pochi oggetti e molti ricordi da far tornare utili una volta approdati dall’altra parte dell’Atlantico. Laggiù le loro fisarmoniche, insieme ai fiati da banda buoni per le marce funebri e alle voci per cantare arie e romanze, hanno incontrato gli strumenti e le musiche e di altri migranti europei, insieme ai ritmi degli schiavi africani che prima di loro avevano cominciato a incrociare il loro senso del tempo con quello degli indigeni e dei preti che gli avevano insegnato a pregare cantando. Così, sulle rive del Mar della Plata è nato qualcosa di nuovo, che ha ripreso fin da subito a viaggiare, verso gli Stati Uniti e l’Europa, passando per le scene dei film, riempiendo le sale da ballo e da concerto, fermandosi a volte anche sul pavimento delle più umili balere.
Mentre viaggiavano avanti e indietro per l’Atlantico lungo tutto un secolo,
dentro quelle musiche sono cresciute passioni sempre più vivide e profonde, che oggi fanno capolino ogni volta che sentiamo scandire il passo del tango.
Al tramonto del Novecento, quelle musiche argentine sono infine tornate nella patria di chi aveva contribuito a farle nascere, conquistando chi in quegli accenti riusciva a percepire qualcosa di visceralmente familiare. Sulle orme di Piazzolla, ma anche nell’ombra di Troilo, Pugliese, D’Arienzo, sulle rime delle nenie liguri e piemontesi, sicule e campane, toscane e pugliesi, a confronto con il sentire della contemporaneità,
musicisti argentini d’oltremare hanno incontrato italiani che riproponevano l’eredità delle tradizioni e il legame con la terra da cui provenivano. Javier Girotto, originario di Cordoba, prodigioso melodista, lirico narratore di paesaggi emotivi con il suo sax soprano, ha incrociato il percorso dell’ostunese Vince Abbracciante, compositore e improvvisatore che rappresenta oggi per la fisarmonica italiana quello che Richard Galliano è per la Francia. Le memorie d’Argentina, trasfigurate nei linguaggi del jazz moderno, hanno riaffondato le loro radici nella terra rossa pugliese su cui resistono ancora ombrosi gli ulivi millenari.
Abbracciante e Girotto nel 2021 hanno pubblicato “Santuario”, un album che raccoglie undici loro composizioni originali e un brano di Luis Bacalov, altro grande argentino d’oltremare.

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L’effervescenza del tango e delle musiche argentine reinventate al di là dell’oceano, attraverso l’incontro con il nuovo volto dei paesi d’origine, trova corrispondenze nelle bollicine del Palazzuolo, il nuovo rosato Sangiovese di Mansalto.
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